Ernesto Concas: L’intimità rituale della maschera fatta vita!
Ernesto Concas: L’intimità rituale della maschera fatta vita!

Ernesto parliamo della tua pittura:
La tua formazione artistica è eclettica e poliedrica, ma fra i tanti linguaggi dell’arte, la pittura sembra essere in questo momento il tuo linguaggio predominante, come è successo?
Perché si tratta di un linguaggio più intimo?
La pittura è uno dei linguaggi dell’arte che sto approfondendo in questo periodo.
E’ successo per caso, partendo da alcuni schizzi e bozzetti sulle maschere sarde, delle quali ho deciso di studiare volumetria e cromatismo.
Ne ho fatto una personale dove filtravo lo studio sui mamuthones in termini di didattica dell’arte!
La pittura è per antonomasia un linguaggio più intimo.
Per quanto mi riguarda la maggiore intimità è da ricercare nella lettura e nell’interpretazione del tratto, il segno è la firma e il carattere dell’artista.
Attraverso il segno è possibile “leggere” l’artista.

Il tuo lavoro pittorico sembra essere collegato da un filo conduttore, quello dell’arcaico, ancestrale, primitivo e popolare come motore poetico della vita, mi sbaglio?
Sicuramente, ma non solo:
Nel mio caso è studio – nel caso specifico dei mamuthones – sia artistico che culturale sul significato delle maschere.
La cromatica riprende uno dei colori estrapolati dal nero-marrone delle maschere: il rosso.
Rosso che è un colore caldo e quindi vivo.
Le maschere vengono riproposte “ricampionate” come dei volti, dei ritratti di figure ancestrali ancora vivi e presenti, delle quali, tra l’altro, non sappiamo l’origine e il significato con precisione.
Ma il loro significato percettivo e rituale ancora vive!
Senza occhi, perché si tratta di una disumanizzazione, di una ricerca per arrivare a quello che doveva essere il loro significato: umano e non umano allo stesso tempo.