KANYE WEST: EGO CHE DIVORA LA STORIA!
KANYE WEST: EGO CHE DIVORA LA STORIA!
Kayne West è uno dei personaggi mediatici più interessanti degli ultimi 20 anni, tanto che persino Mark Fisher ne rimase inquietato (e scrisse su di lui). Per motivi diversi e talmente lontani fra loro che è difficile riassumerli. Ci proveremo.
West (8 giugno 1977) è figlio di un ex black panther poi diventato fotoreporter, e di un’insegnante universitaria di letteratura inglese.
Figlio della classe abbiente nera, West sviluppa una musicomania ossessiva che lo porta ad interessarsi della produzioni di basi musicali, arte in cui eccelle tanto da ottenere a 24 anni di apparire come produttore nell’album “Blueprint” di Jay-Z.
Diventato un pochi anni uno dei produttori più influenti e pagati degli USA, non si sente appagato, quindi si mette davanti al microfono per rappare in prima persona.
Il suo primo album “The college dropout” (2004) è un grande successo di vendite.
Un successo determinato -oltre dai suoi beat killer- dalle caratteristiche dei testi di West, non potendo né volendo raccontare una vita di strada mai vissuta, West prende la figura del gangsta del ghetto e la trasforma in quella del sopravvissuto a se stesso, scompone in frammenti i temi dell’afrocentrismo e li riutilizza a random, mima l’intimismo depresso dell’emo e lo riadatta ai topos precedenti, componendo un patchwork sorretto da un’unica base solida: il suo ego stratosferico.
Un ego che nella sua carriera potrà spaziare dalla classica al rock da stadio, dall’industrial al rap old skool, influenzando praticamente ogni scena attraversata, senza mai legarsi a nessuna.
Ma ciò che ci interessa è l’evoluzione del suo ego, talmente ipertrofico da ingoiare persona/situazione/evento incontri: dopo essere diventato un produttore e un rapper di successo planetario, il nostro eroe si getta nel mondo della moda, divenendo stagista per Fendi.
Non contento si dà al cinema, prima come attore poi come regista.
Intuito il peso sempre maggiore dei social per il successo di un artista, diventa prima un twittatore ossessivo, poi un dipendente da Instagram.
Nel frattempo si sposa con l’astro nascente dei social Kim Kardashian.
In ogni campo in cui si spende, lo fa con un metodo costante:
l’ossessione per il collezionismo, il perfezionismo esasperato, l’egocentrismo straripante (con deliri paranoidi che sfocciano nel complottismo) che lo rende difficilmente sopportabile a chi decida di collaborare con lui.
Le sue posizioni politiche e sociali -sempre espresse pubblicamente- si segnalano perché sono impossibili da distinguere dalle sue ossessioni personali.
Che faccia beneficienza, si esprima sulla condizione afroamericana o sulla situazione economica mondiale, West riesce sempre a mischiare argomenti di ordine sociale a fatti strettamente personali.
Un esempio:
salendo sul palco durante raccolta fondi per aiutare i colpiti dall’uragano Katrina, disse che doveva chiamare il commercialista per sapere se era possibile donare più soldi a loro di quanti ne aveva spesi nel pomeriggio per comprare vestiti di lusso da mettersi per l’evento.
E lo disse senza alcuna (auto)ironia.
Oppure quando lanciò sui social l’invito al neoeletto presidente Trump per un incontro in cui discutere sul destino degli USA: invito accolto dal presidente, ampiamente coperto dai media, il rendez-vous vide un Trump tronfio ascoltare un Kayne West imbottito di psicofarmaci farfugliare un mix incompresibile di politica internazionale e scazzi privati.
Perchè tutto questo ci dovrebbe interessare?
Perché Kayne West ha influenzato in maniera decisiva la musica, la moda, il videoclip, il costume, il marketing degli ultimi 15 anni.
Per non parlare dell’uso di Instagram, di cui è un virtuoso (un brand per apparire in una sua storia paga 1 milione di dollari).
Tutto questo esasperando e portando al collasso le caratteristiche della generazione X: l’impegno sociale/politico inteso come status symbol identitario, una creatività che in realtà è un divorare e remixare incessante di tutto ciò che di vecchio e nuovo viene caricato in rete, la confusione-fusione fra la propria vita privata e quella pubblica, l’uso compulsivo dei social per l’autopromozione, ma soprattutto il non essere mai legato a nulla se non al proprio ego ipertrofico.
Un ego perennemente insicuro, paranoide, infantile, affetto da vittimismo eppure superomistico, divorato dall’ambizione, sadico con se stesso e gli altri.
Un ego che divora la storia passata e recente e la risputa come tweet o pretesto per un verso di una canzone.
Più che un uomo o un artista, Kayne West è una generazione stipata in un corpo e in una psiche.
Federico Leo Renzi