Quilo, “No way”

“mono tono monocromo solaro
il mio suono su una mina anti uomo
le mie orme nell’asfalto giaguaro
ti sto al collo / non mi muovo
artivista attivista
in sta massa mista serva acritica
alchimista futurista
in sta glassa perbenista e asfitica
il mio suono 90 mette a 90 non smetto manco a 90
fa paura 90 di merda non vanta
come la muerte santa
dischi d’oro dischi patinati
ma non fanno dischi fanno
surgelati
shobiz italico onanismo mediatico
tutto poco poetico laccio emostatico”
Ve lo confido, al di la degli obiettivi di scopo e di un percorso di vita e arte, che quotidianamente mi connette con una serie d’artisti e operatori culturali, sono pochissimi gli artisti che sento fratelli per affinità emotive e intellettive.
Nell’isola uno per cui sono disposto a battermi la mano sul petto, senza nessun calcolo di sorta o ricaduta comunicazione, è Quilo, per una serie di motivi:
– Vive l’arte come processo di ricerca e di percorso di vita, non come una professione figlia di calcolo e strategia.
Quilo è un artista, non finge d’esserlo per tirare a campare, non a caso in questo momento della storia isolana e nazionale, è l’unico artista figlio dei movimenti anni novanta a denunciare quello che in termini di libertà e di cultura comune ci è stato sottratto nel nome di hashtag e frasi fatte come #andràtuttobene e #iorestoacasa.
– Quilo è un artista che vola oltre i confini e le etichette di genere, sa andare anche oltre i cliché generazionali, culturali e politici, politicamente e poeticamente è stato illuso e deluso dalle utopie politiche e identitarie, ma non si è mai fermato ed arrestato, ha sempre esorcizzato i suoi demoni con il linguaggio dell’arte, e in quest’ottica nella scena culturale artistica isolana è l’unico artista politico a non essersi fatto blindare da cliché identitari che nel nome del folk e delle cartoline turistiche dai nuraghi, confinano l’indipendenza in un limite linguistico che condanna al provincialismo, all’isolamento e al gongolarsi nell’essere artisti linguisticamente minoritari.
Cerca un confronto aperto con la scena artistica internazionale, ed è l’unico ad anteporre la questione dell’arte residente isolana come patrimonio e bene pubblico da sostenere, prima di tante altre promesse politiche, che comunque condannano l’arte residente alla marginalizzazione permanente a dimensione turista.
Ragionando su questo pezzo:
è un manifesto artistico in stile avanguardie storiche, quello che in questo millennio sembra essere scomparso come concetto artistico, la squadra è da cardiopalma, testo e musica sono del Komandante che salpa oltre questo millennio in mare aperto verso l’indefinito, il featuring è con JakJaky il meglio della scena rap/trap/drill (chiamatela come volete) isolana, il ritornello è di Gangalistics il più internazionale degli artisti isolani, questa è poesia da antologia di Storia dell’arte isolana, altro che Machete Crew.

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