Sciusciante pietra sonora di Daucher!

Sciusciante pietra sonora di Daucher!

L’esperienza curatoriale e organizzativa della collezione privata di Michele Franzese, di Sciusciante a Ottaviano, è una dimostrazione di tesi: gli artisti sono porte viventi, portali d’attraversare da parte di chi, in un tempo di distrazione, conserva la capacità di coltivare l’attenzione.
I linguaggi dell’arte, altro non sono che, codici relazionali d’organizzazione sociale, che passa necessariamente per l’osservazione di chi contempla i suoi gesti e azioni.
Sciusciante è uno spazio espositivo non convenzionale, è un luogo di passaggio, di commensalità e convivialità, questo lo rende lo spazio ideale per mangiare e osservare con intorno linguaggi dell’arte, non si è per fortuna, a casa, isolati, disconnessi, dinanzi un televisore, un personal computer o uno smartphone, si è insieme immersi in situazioni linguistiche dell’arte; si è dentro un ambiente di connessioni, contrasti e corto circuiti, che veicolano creatività in tutti i settori dello scibile umano.
Da Sciusciante ci si nutre con i linguaggi dell’arte, s’attraversano secoli e millenni di storia, si riflette nell’ambiente la propria cultura e il proprio modo di vivere.
Alla base del linguaggio dell’arte c’è la radialità, la base della morfogenesi delle onde sonore, quel processo naturale che crea forme: il suono modella lo spazio e lo rende percettivamente visibile, il gesto formale di un artista, in uno spazio, è vibrazione e risonanza, in questo l’osservazione del fenomeno percettivo artistico è meditazione!
Il linguaggio dell’arte, e su questo punto non ho più l’età per ammettere ignoranza, è estensione di un processo metabolico del nostro corpo, siamo quello che mangiamo, ma anche quello che determiniamo, è tutto una circolarità di movimento con vibrazioni che scambiano energia e generano suoni.
La forma non è solo estetica (è un’illusione di chi vive territori sensoriali monchi e ignoranti), è significato intrinseco, è energia che da forma alla materia, è suono che diventa segno.

Apro una parentesi su questo:

Nel 1974 Elmar Daucher, Scultore tedesco, notò che le Sculture in pietra emettevano suoni, blocchi incisi creavano delle lame che suonavano accarezzate dalle mani, da un’altra pietra o da martelletti.
Le pietre di Daucher, erano incise in simmetria radiale, le sue pietre sonore “klangsteine”, davano suoni differenti a seconda del motivo geometrico o del tipo di roccia.
Daucher sapeva che i geroglifici cinesi come gli egizi, potevano essere letti in chiave armonica.

Torniamo a noi:

Il linguaggio dell’arte ha una sua origine che lo muove in circolo, l’artista è solo un servo del linguaggio, il mandala è per questo un archetipo collettivo, perché il linguaggio dell’arte è determinato da invisibili vibrazioni che si muovono attraverso la luce (che trasporta elettro magnetismo) e il suono (che sposta l’aria in maniera ondulatoria): l’oscillazione delle molecole, degli atomi e degli elettroni, sono l’informazione che plasma la materia in maniera matematica.
Capite quanto si debba essere pigri e mediocri per celebrare il linguaggio artistico come frutto di un genio individuale?
Tutto il nostro linguaggio artistico, nasce intorno a un unico punto, da quel punto (che non sapete quanto inseguo come sintesi) si muove e sviluppa.
L’artista è banalmente uno studioso no profit, la sua sete di cultura muove dalla presa d’atto dell’ignoranza diffusa, questa è la sola linea di demarcazione tra l’artista e il mediocre.
Lo stile di un artista, muove sempre da una base linguistica comune, è una banale variante determinata da una casuale combinazione algoritmica delle tante possibilità di definizione del sé, che l’umano ha posto in essere come possibilità per comprendersi.

 

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