The gloss side of reality di Paola Pinna
Giovedì scorso si è conclusa felicemente Gloss Reality, la mostra dell’artista cagliaritana Paola Pinna (1994). Un successo di critica e di pubblico per la nostra ex studentessa del Liceo Fois, che dal 2013 vive a Londra, dove si è laureata in illustrazione al Camberwell College of Arts ed è in procinto di conseguire la laurea specialistica al corso di Digital Fine Arts. Ed è proprio l’arte digitale la protagonista di questa mostra che è stata ospitata al Temporary Storing della Fondazione Bartoli Felter, dal 2 al 16 maggio, presentata da Antonio Mallus. Tele di grande e piccolo formato realizzate con un software che crea sculture in 3D su cui Paola interviene distruggendo i corpi, smembrandoli, estrudendoli, riplasmandoli. La ricerca di Paola Pinna parte da un canone classico, scelto tra sculture come la Venere di Milo o l’Apollo del Belvedere, per viaggiarvi intorno con la curiosità dell’anatomopatologa, o del bambino che distrugge il giocattolo per capirne il funzionamento. Sa che la conoscenza parte con la scomposizione della materia. A questa entropia si aggiunge l’interferenza dei social media nella vita quotidiana, simboleggiati da testi, simboli e icone del web, che hanno la tendenza a mostrare la parte glossy delle esistenze umane, la parte lustrata, luccicante. Questa fusione (talvolta a caldo, altre a freddo) si tramuta in un universo che ha il gusto di un viaggio endoscopico nei nostri corpi, con l’effetto straniante che ha la vista delle nostre viscere, vasi sanguigni, organi. Ci viene da chiedere se la tecnologia ci stia tatuando l’anima in modo irreversibile. Paola Pinna ci regala esili ma robusti segni di speranza: al posto delle macchine ci sono steli e boccioli di fiori, le catene della catena (network) si spezzano, le malattie si rivelano proprio per essere guarite. A quali malattie si riferisce Paola Pinna? A quelle strettamente correlate ad un abuso del social networking: il body dismorphia (avere la percezione sbagliata del proprio corpo, vederlo brutto perché le modelle ci appaiono perfette – senza smagliature, cellulite, adipe – in realtà sono photoshoppate), il body shaming, la presa in giro per il proprio aspetto fisico, che provoca vergogna e pubblica umiliazione, o la depressione post ghosting, terribile pratica che giovani, ma anche anziani, adottano per troncare una relazione affettiva, interrompendo bruscamente i contatti attraverso un blocco permanente, non accompagnato da umanissime parole. Malattie della contemporaneità che Paola traduce in immagini, con la sua sensibilità acuta e la sua mano precisa. Ci siamo dette che sì, nonostante questo campo di battaglia appaia in tutto il suo orrore di corpi soli e smembrati, la parola chiave della mostra è hope, speranza (come nella vincente campagna elettorale di Barack Obama, sembrano trascorsi anni luce). Una speranza testimoniata dalla scelta di un colore prevalente, che ti chiama da ogni angolo dei muri della mostra, ed è il prediletto di Paola Pinna: il rosa.
paolapinna18@gmail.com
instagram: paolapinna1
Concettina Ghisu